Antonio Festival
Full Time Blues - II ed.
Un diario cronaca degli anni 70
Questo racconto descrive la vita di Andrea, un giovane libertario, tra gli anni Settanta e Ottanta, tentando di trasmettere gli umori di quel periodo e di restituire, attraverso la cifra biografica, un affresco delle tante azioni/relazioni dirette che trasformarono man mano gli animi ed i rapporti sociali/personali di molti di noi.
Un diario dei 70 libertari, quelli delle opportunità/possibilità, quelli che non intendevano sostituire poteri ma negarli in toto.
Fino al riflusso, è il momento in cui, in Italia, incominciano a circolare quintali di eroina.
“La roba, solo la roba. […] I freaks in linea di massima si sono trasformati in tossici; le relazioni vanno sempre più a puttane…”.
Frasario e lessico del diario riflettono questo intento.
Agli inizi dei 70 partono le prime inchieste e i primi servizi giornalistici sulle droghe e sul mondo giovanile; ci siano o meno, bisogna darne notizia per screditare/diffamare il movimento in ascesa.
Gli anni passano. Nonostante la repressione poliziesca, le continue diffamazioni dei media verso il mondo dei capelloni, qualche golpista che continua ad affannarsi nel tentativo di equiparare l’Italia alla Grecia e qualche strage da attribuire ai soliti sovversivi… il movimento e la contestazione continuano a crescere.
Che fare?
Parte nei dettagli l’operazione BLUEMOON.
Le piazze e le storie del Movimento negli anni Settanta a Napoli. Resoconto vitale, in prima persona, di un decennio indimenticabile. Già un piccolo cult.
Tra i tanti testi sugli Anni Settanta usciti nell’ultimo decennio, Full Time Blues appare quello più immediato: ferma in istantanee concrete quel periodo, ne riporta la furiosa energia – oggi sfocata nel vintage.
Scritto da un testimone degli eventi che si firma con il nickname Antonio Festival, Full Time Blues è il diario-cronaca di Andrea, un giovane libertario napoletano. Uscito per le edizioni Magmata nel 2011 il libro è già un piccolo cult. Col solo passa parola, ha venduto mezzo migliaio di copie: un successo per una piccola casa editrice senza rete di distribuzione. La ambientazione napoletana del diario ne aumenta il fascino rapsodico. Infatti, la città, gonfia di degrado e bellezza, diventa in quegli anni snodo vitale di creatività: “Nuovi orizzonti si aprono. I cambiameni appaiono possibili… Napoli pullula di organizzazioni ed associazioni politiche di vario genere”.
Ed è in questa atmosfera che, nel giugno del ’73, Andrea, 14 anni, lascia la comitiva di coetanei, fatta di toccatine rubate alle ragazze, per entrare a far parte del collettivo studentesco. Da quel momento non ne perde una: spinto da quell’amore collettivo, quel noi che da qualche tempo sente albergare in lui, vive a tempo pieno strade e piazze, momenti di occupazione, concerti, viaggi, happening, feste e anche scontri violenti con fascisti e fazioni più ortodosse della sinistra. La sua è partecipazione a un processo di formazione collettivo, in cui per la prima volta anche le ragazze sono protagoniste. E che include i primi approcci sessuali, sotto il nuovo segno della liberazione: “Lei non ha ceduto ed io non ho conquistato un bel niente… Infatti, l’autodeterminazione della propria sessualità sta diventando pratica comune”.
Sin dalle prime battute, Andrea manifesta allergia per gli specialisti della rivoluzione e guarda con simpatia agli hippies. Tuttavia, figlio di gente che da generazioni suda e fatica, non si sente votato al pacifismo. Così, dopo varie esplorazioni, sceglie la famiglia degli anarchici libertari, che orbitano intorno alla sede Louise Michel, nel quartiere popolare di Montesanto. Qui l’ideologia viene declinata sul vissuto. Le chiacchierate e i pasti comuni accompagnano il percorso fluttuante dei ragazzi. Uno spicchio di utopia comunitaria disancorato dai dogmi. La relazione umana vale almeno quanto i princìpi: più di una volta Andrea viene salvato dal suo amico di infanzia Aniello, picchiatore fascista. E ricambia il favore.
Nel racconto, scritto in un presente indicativo incalzante, il personale e il politico si intrecciano, le esperienze hanno una portata corale. I nomi e i soprannomi degli amici si contano a dozzine: Timmy il percussionista, Marta la bella, Tonino ‘a perzeca, ‘o Pruvulone. E poi Tommy, Simona, ‘o Messicano: sciami di ragazzi che affollano piazza Dante, piazza Sannazaro, discutendo e suonando. Che migrano in massa verso raduni e concerti come Umbria Jazz. E’ l’onda lunga di Woodstock, che in Italia si arricchisce di colori ancora più accesi, travolgendo i costumi arretrati delle province del Sud.
Puntualmente enunciati, come veloci didascalie di un dramma brechtiano, gli Eventi che scuotono l’Italia: la strage di Piazza della Loggia, quella dell’Italicus, la svolta armata di alcune falangi del movimento, l’uccisione di Moro. Ma anche il Colera del ‘73 e il Terremoto dell’’80 a Napoli.
Nonostante la dichiarata assenza di ambizioni letterarie, Full Time Blues si legge d’un fiato. E stacca una voce narrante dal timbro inconfondibile, ricalcata sul parlato ma senza manierismi. Frasi brevi. Tanti punti. Una ombreggiatura di slang dialettale. Ma anche la neolingua giovanile di quegli anni, che accoglie parolacce e gergo rivoluzionario. Il ritmo è, per così dire, rock-blues. Il tono partecipe, ma lucido. Non mancano veloci notazioni ideologiche. E lo humour, impastato nel racconto in battute estemporanee: “Franchetiello ‘o Barbone: tossico, alcolista, ex detenuto senza fissa dimora. La ciliegina che mancava sulla torta”. La voce di Andrea è – come dire – appassionata, ma anche piena di vigile disincanto. Senza per questo sminuire la portata degli eventi.
Infatti, in pochi giorni, mesi, tutto cambia. Le classi sociali si fronteggiano e si accostano. Uomini e donne balbettano un linguaggio nuovo. E’ un momento di accelerazione della Storia. Noi, leggendo, avvertiamo quel vortice. Vi partecipiamo in prima persona. Veniamo toccati da sensazioni di felicità, giovinezza, cambiamento. Fino alla parabola finale del “riflusso”, quando locali, concerti, piazze diventano luoghi in cui ormai ci si intrattiene. E fino all’arrivo dell’eroina: che fa più morti delle bombe. Nel giro di due anni, tra il “’78 e l’80 i freaks in linea di massima si sono trasformati in tossici; le relazioni tra le genti vanno sempre più a puttane”. E anche Andrea diventa un tossico. Il racconto si fa cupo. Scende in dettagli sordidi. E, proprio come in una guerra, Andrea, infine, conta i morti: Bobo, Tommaso, Gabriella per AIDS, e poi: Ciuffo, Roberto e Ciruzzo per overdose. E tanti altri.
Il protagonista si salva dalla “roba” grazie alla sua famiglia, che lo sostiene, e alla comunità, che gli impone una disciplina terapeutica. E grazie ai compagni anarchici, che gli si stringono intorno.
Dopo l’inferno della dipendenza – siamo arrivati all’ ’83 – la voce di Andrea resta scanzonata e piena di ritmo. Torna tra gli amici, si nutre di nomi: Guido, Nino, Nicola, compagni del gruppo anarchico. Ma anche Ernesto ‘o Sigar, e Tittina, la vecchia zitella che vende bionde nel basso. Quasi a dire che la salvezza – ma anche la felicità? – è nell’essere nel presente tra gli altri. Nell’avere una sponda. Nel trovare una intonazione collettiva che poi lasci liberi di staccare un suono singolo.
Full time blues.
Un blues a tempo pieno. Come è l’esperienza di Andrea. Se ne consiglia la lettura a chi vuole documentarsi su quegli anni. E a chi, giovane o non più giovane, ha bisogno di un dose di quel “noi” che vibra nella voce del protagonista.
http://www.effettonapoli.itFull Time Blues di Antonio Festival (Edizioni Magmata, 2011. II ediz. 2017) è il miglior romanzo-cronaca che abbia letto sugli anni ’70 in Italia. Può sembrare un’affermazione esagerata, ma in queste circa quattrocento pagine c’è tutta la voglia di vivere, di cambiare e di lottare di quella generazione. Il viaggio in cui ci porta Antonio Festival ci fa scoprire un periodo che era fatto di scontri di piazza, picchetti, assemblee, ma anche di curiosità, scoperta di se stessi e allegria contagiosa, collettiva, irrefrenabile. Andrea, il protagonista del romanzo, è soltanto un ragazzino napoletano che vive al centro storico. Non ha mai fumato una canna, non è mai stato con una ragazza, non ha mai visto un grande festival musicale e non ha mai partecipato a un corteo. Pian piano questo adolescente cresce ed è questa crescita che ci viene raccontata nel romanzo. Viaggiamo insieme ad Andrea tra il festival di Licola, Umbria Jazz, le prime vacanze senza genitori e i viaggi per le manifestazioni. Il tutto ha i contorni lisergici e straordinari della creatività e della vitalità politica del movimento del ’77.
Full Time Blues è un insostituibile tassello per chi vuole capire quella generazione, che dovremmo riscoprire e con cui bisognerebbe fare i conti. La generazione che ha subito la repressione più cieca e violenta della storia repubblicana. Quella a cui è stato fatto di tutto e che è stata consegnata all’oblio, grazie alla sapiente propaganda di stato che ci parla di terrorismo, di bombe, di violenze di piazza, di guardie e ladri. Un polizziottesco continuo che Full Time Blues demolisce ad ogni pagina. Ho fatto qualche domanda all’autore per scoprire qualcosa di più.
Come mai hai deciso di scrivere questo libro?
Per bisogno interiore… per proporre un sogno vissuto da una certa parte dei giovani di quel periodo.
Un diario che serva principalmente a trarre conoscenza e “vantaggio” dalle esperienze passate. Un bisogno, quindi, politico ed esistenziale. Così come lo furono (politiche ed esistenziali) le tante storie che animarono quegli anni.
Principalmente ho iniziato a scrivere per levarmi da dosso la paranoia che questa storia rimanesse solo mia…senza visioni non si cerca la strada o il cambiamento; si ci affanna solo a sopravvivere nell’eterno presente. Oggi poi mi sento meno compresso… come se avessi confidato un segreto a un vecchio e caro amico. Il tesoro è stato tirato fuori.
Il tuo racconto parte dall’adolescenza di un ragazzo a Napoli. Un aspetto straordinario del libro è la leggerezza, ci puoi sintetizzare la curiosità e la voglia di scoprire di quegli anni?
Andrea, il protagonista, è un testimone coinvolto che si apre al Movimento verso i 14-15 anni. Scrive un diario con la fretta e la leggerezza di chi deve correre di nuovo fuori, in strada tra le gente a vivere le storie. Una visione dal basso e non di un leader o quadro politico, quindi leggera nel fraseggio letterario, nelle storie narrate e nelle piccole analisi che a volte si susseguono agli eventi. Disancorata dai dogmi e dalle burocrazie che spesso spaziavano all’interno dei gruppi e dei partitini di sinistra. Una delle prime riflessioni di Andrea e del suo amico Tommy infatti è: che ci azzecca Mao con i capelli lunghi e l’amore libero? Da Giorgio Ferrari Autonomia vol. 4: Li abbiamo raccontati attraverso le nostre analisi mentre avrebbero dovuto essere loro a dirci come hanno vissuto quella stagione anche rispetto a noi (quelli più grandi) che eravamo, sì, più esperti di loro, ma non necessariamente più saggi.”
Full Time Blues risponde a questa mancanza, esprime appunto quelle curiosità che portarono Andrea adolescente a partecipare a quel grande movimento fatto di ricerche e percorsi collettivi non solo politici ma anche intimi ed esistenziali.
Full Time Blues è un libro, almeno in parte, autobiografico. Uno degli episodi che mi ha colpito di più è quello del rapimento Moro, ce lo racconti?
Nel ’78 il movimento vive già la fase detta del riflusso. Nelle piazze incomincia a dilagare la roba. Si intravedono i primi gruppi di Zombi. Molti compagni, poi, con cui mesi prima si condividevano gioie e situazioni scompaiono, entrano in clandestinità o sono costretti a rendersi invisibili per cercare di sfuggire a piccole condanne. Nelle piazza di Andrea, come ovunque, la situazione è caotica. In ogni modo, la sera prima del rapimento di Moro passa per la piazza un amico imbarcato su una nave mercantile di ritorno dal sud America. Ha con sé della mescalina triturata di ottima fattura. Una colletta veloce e si acquista la partita. La mattina del giorno dopo (il giorno del rapimento) siamo in piazza di buonora a dividerci la sostanza (siamo una dozzina) e poi via al bosco di Capodimonte a cercare le visioni; la giornata passa intensa tra pianti introspettivi e agitazioni tribali, tra scene di gruppo e chiacchierate solitarie con i fiorellini di campo. In pratica siamo fuori fino alle 18. Poi stanchi ci raggruppiamo e ci avviamo verso l’uscita del bosco. Usciti dal cancello c’è una calma surreale: negozi chiusi, strada deserta. Uno strano silenzio interrotto solo da sirene e auto della pula che si agitano in lontananza. Entriamo nel bus quasi vuoto: “hanno rapito Moro La notizia ci fa quasi ridere, sembra l’ultimo colpo di coda della mescalina. Siamo comunque stanchi si va a casa a vedere il telegiornale.
Chiaramente dai giorni successivi ci furono un susseguirsi di controlli ovunque. Le questure erano costantemente piene di giovani movimentisti; non si faceva un passo senza incontrare posti di blocco e subire perquisizioni. Lo stare in strada, nelle piazze, si faceva pesante.
Chiaramente ci tengo a ribadire che il movimento tutto non voleva assolutamente l’uccisione di Moro. Uscirono prime pagine su tutti i giornali di area movimentista che ne chiedevano la liberazione. Sembrava la soluzione più sensata per tutti; poi…”Giorgio Moroni” in Autonbomia vol.1 dice che quel periodo:mentre salgono le azioni Br, decrescono le azioni di illegalità diffusa. Le Br avevano messo definitivamente il loro copyright alla contestazione.
Cosa pensi dell’ondata di eroina che è piovuta sul movimento politico degli anni ’70?
La “militanza” per anni ci fece sentire “completi”, realizzati e felici… con una enorme comunità di appartenenza con cui vivere giorno per giorno, tutti i giorni… poi subentrò il vuoto, dentro e fuori… e l’eroina purtroppo riempì alla perfezione quel vuoto e quel freddo. (cit. da FB)
Che la roba entrasse tra noi con l’intento di dissolverci nella disperazione individuale molti lo sapevano, il movimento lo sapeva, eppure ad un certo punto fu una delle sole due opzioni possibili (eroina e lotta armata clandestina) che furono lasciate a quelli che non volevano rientrare nei ranghi. In pratica si programmò il suicidio di decine di migliaia di corpi e di menti. Dai 10.000 tossici schedati nel 1976 si passa ai 280.000 nel 1980.
Negli stessi anni, nelle carceri italiane transitano 100.000 detenuti politici.
Primo Moroni nel 78/79 nell’area della Calusca conta 35 suicidi.Lotta Continua pubblica la lettera di una ragazza suicida che si era ritrovata con niente tra le mani
Cos’é che ti manca di più di quei tempi, cosa vorresti vedere oggi?
Mi manca quel fantastico contropotere diffuso, espresso dai subalterni, che teneva a bada i padroni, gli oppressori e i leccaculo di ogni risma. Quella grande bellezza che si nutriva di giustizia e egualitarismo e non di stupido edonismo perfido e competitivo. Quel nostro modo di essere tutti artisti senza definizioni. Il personale e il politico che si mischiavano. Eravamo stupendamente convinti che il punto di partenza di qualcuno che desiderasse rompere con un sistema completamente allo sbando fosse l’essere insoddisfatto della totalità. Cosa vorrei vedere oggi? Il domani… un domani umano.
Intervista a cura di Claudio Metallo